Antonio Recalcati, o come ben servirsi di de Chirico
Testo di Gilbert Lascault
Recalcati ridipinge de Chirico. Introduce nei quadri precisi e riconoscibili di de Chirico, dei dolci, dei salami ed anche delle strane gambe femminili che ci sembra di poter affettare e consumare come prosciutto. Ogni volta che de Chirico rappresenta in uno dei suoi quadri una statua di marmo, Recalcati ci si scaglia contro; la graffia, la scortica, rappresentandola come se l’avesse colpita con un martello arrabbiato.
Ridipingere de Chirico, attribuirsi i quadri di de Chirico, ben servirsi di de Chirico: questo è il lavoro di Recalcati nel ’73. In questo lavoro, semplice in apparenza, il pittore investe un cumulo di desideri. Questa serie di quadri è il risultato di una complessità di atteggiamenti diversi, che dobbiamo enumerare prima di cercare di pensarli nella loro globalità. Quella che possiamo chiamare “la pratique repicturale” di Recalcati deve essere analizzata con noiosa precisione.
Innanzitutto i quadri di Recalcati si devono leggere come una profanazione. Bisogna rompere lo spazio inviolabile, introdursi di forza nel quadro chiuso, pensato, dipinto e finito da un’altro. Dobbiamo imporci di Trasformare delle immagini riconosciute, ammirate, rispettate in strumenti per il pittore irrispettoso. La possessione artistica è finita. Morte est la vénération qui paralyse. Le immagini che de Chirico ha concepito sono rubate, violentate da Recalcati. Come qualcuno ha aggiunto i baffi alla Gioconda, così Recalcati aggiunge prosciutti di Parma, zamponi di Modena, panini imbottiti nelle piazze e nei vasti spazi deserti. Il vuoto metafisico diventa esposizione fisica, invito al consumo.
Possiamo chiederci il perché di questo strano gesto del pittore profanatore, di questa operazione che generosamente si aggiunge all’opera, l’arricchisce, le dà un po’ più di senso e nello stesso tempo la dissacra. Recalcati usa de Chirico come nel 1964 usava i paesaggi parigini di Utrillo.
Alla profanazione delle aggiunte si mescola la profanazione da erosione che già abbiamo descritto. I marmi rappresentati da de Chirico sono nuovamente raffigurati, ma incrinati, erosi in una simbolica lacerazione. Del resto, possiamo comparare il gesto con cui Recalcati nel 1963, cancellava con una croce i paesaggi, anticipando (di molti anni) il lavoro del pittore americano Malcom Morley. Ma bisogna insistere su un altro aspetto del suo gesto. Recalcati sfregia la rappresentazione dei quadri di de Chirico nello stesso modo in cui il popolo impiccava la rappresentazione dei regnanti sotto forma di manichini.
Ma in Recalcati la profanazione, la dissacrazione dei quadri di de Chirico costituiscono solo un aspetto della sua prassi pittorica. Non odia de Chirico, non aspira alla distruzione ( sia pur simbolica) della sua opera. Ma si aggiudica il diritto di servirsene.
Nella mentalità occidentale succede che il gesto stesso, per il quale un artista inventa una forma, debba costituire per gli altri artisti un gesto di interdizione. Inventare un quadro significherebbe, quindi, opporsi all’impiego di questa invenzione da parte di altri. Si instaurerebbe nell’arte uno strano feticismo della verginità delle forme istituita dagli stessi defloratori; l’insieme di forme create in un primo quadro non può quindi essere ripreso, ripetuto, modificato da un altro, tranne forse che per il produttore del primo quadro. Recalcati va oltre questo strano feticismo. Abita gli spazi di de Chirico; vi immette i suoi oggetti, i suoi fantasmi, il suo complesso rapporto con la donna non posseduta-posseduta, totale-frantumata, adorata-aggredita, rispettata-divorata. Già nel ’70/71, nei quadri del ciclo Interno Americano, isolava le gambe. I quadri del 1973 metamorfosano queste gambe in prosciutti: fatte simultaneamente per essere guardate, accarezzate, leccate, inghiottite con amore cannibale. Recalcati si serve dei quadri di de Chirico; ne abita gli spazi. Del resto sono quegli spazi che soprattutto lo interessano.
Questa utilizzazione-profanazione dei quadri di Giorgio de Chirico è nello stesso tempo per Recalcati un atto materialista, una apologia della materialità e del materialismo.
Non so esattamente cosa significa l’espressione metafisica, quando si parla della “pittura metafisica” di de Chirico. Quello di cui sono certo è che questa strana espressione orienta certi critici a descrivere le opere di de Chirico con un linguaggio idealista-teologico. Per loro, un Dio morto, un Verbo assente abitano le vuote e inquietanti piazze e i grandi portici abbandonati. In Recalcati, questo Verbo si fa carne da macello, salsiccia tritata, marmellata troppo dolce. Il libro chiuso che de Chirico ha dipinto nel quadro Il cervello del bambino (1914), Recalcati lo riempi di fette di prosciutto. Il libro non è più strumento di cultura, tesoro di sapere. Diventa contenitore di cibo.
Ma questa grande mangiata che Recalcati ci impone e che (fortunatamente) scandalizza i palati delicati, questo materialismo è probabilmente la verità stessa dei quadri di de Chirico. Recalcati svela quello che de Chirico nascondeva. Recalcati innalza a monumenti, nelle piazze d’Italia i desideri che de Chirico celava dietro i muri che dipingeva. Brani di Hebdoméros, scritto da Giorgio de Chirico nel ’29, ci mostrano quanto il pittore sia affascinato-terrorizzato dal cibo. De Chirico denuncia “il gusto esagerato e istintivo spesso sfiorante l’ingordigia che molte donne hanno per certe verdure” e propone di relegare “in fondo alle stanze più scure” l’atto“blasfemo” di mangiare delle fragole alla crema. Un solo quadro metafisico del 1919 ci rivela le sue istanze fisiche Natura morta con salame.
Così facendo, Recalcati ha l’impressione di continuare il lavoro di de Chirico. Ci rivela ciò che era la verità segreta del suo predecessore. Ma, in un modo più immediato, si sente ugualmente vicino a ciò che gli sembra più evidente nei quadri di de Chirico. Si identifica a questo grande viaggiatore a questo Italiano spesso lontano dall’Italia. Ama una certa serenità, una luce calma e particolare che scopre nella pittura di colui che lo ha preceduto. Cammina nelle sue orme. Se ridipinge de Chirico è perché riconosce certi suoi desideri in ciò che de Chirico ha già dipinto.
Recalcati vive sempre in una immensa complicità con i pittori che ridipinge. Con Marcel Duchamp pensando di continuarne il gesto provocatore; con il Picasso di Guernica che ridipinge nel ’63 e, attualizzandolo, dipinge anche lui per una Spagna libera dal fascismo. Profanare, compromettere, continuare, pervertire, utilizzare, trasformare le opere che si amano: questo ridipingere è la prassi di Recalcati. Reduplica de Chirico e lo dirotta. In queste operazioni si amalgamano inestricabilmente crudeltà e tenerezza. Tenerezza feroce, crudeltà compiacente nei confronti di de Chirico, delle donne, nei confronti di ciò che si chiama pittura e di ciò che si nomina realtà
Gilbert Lascault
Dal catalogo della mostra “La boheme di De Chirico” Milano, aprile 1974