After Storm

After Storm

Alain Elkann

 

Dopo vent’anni trascorsi tra Parigi, Berlino e New York, Antonio Recalcati è tornato a stare a Milano. Vive in un convento nel cosiddetto hinterland milanese. Il suo studio è una stanza molto grande, bianca, luminosa. Dalle finestre e dalle due terrazze si vedono i campi e all’orizzonte fabbriche e palazzi moderni che sembrano surreali.

 

Antonio mi riceve nei suoi abiti di lavoro, blue jeans e camicia scozzese, ha l’aria indaffarata e ha voglia di mostrarmi i suoi nuovi lavori.

 

Scosta dal muro quattro o cinque grandi tele, sono quadri che ha appena finito, alcuni sono ancora umidi. Andranno a una mostra retrospettiva al Palazzo Reale di Milano. È il primo contatto che ho con questa nuova serie di quadri.

 

Vedo dei marciapiedi grigi con delle macchie d’olio, delle venature, dei pori neri e poi delle pozzanghere a volte senza forma, a volte con la forma di un tombino. Nelle pozzanghere sono riflessi uno squarcio di cielo o un palazzo. I cieli blu tersissimi sono quelli di New York, il rossiccio della casa riflessa mi fa pensare a certi quadri di Stopper. Mi colpisce un quadro più fosco, grigio verde.

 

La pozzanghera sul marciapiede è come una grossa macchia d’inchiostro di china. In un angolo in alto sulla sinistra si vedono il fondo di un paio di calzoni blu e delle scarpe nere. A lato su un muro c’è scritto “JEFF”. Chi è Jeff? È un uomo qualsiasi? È un passante? È Recalcati? Non può essere lui perché lui sta dipingendo.

 

Potrebbe invece essere un autoritratto. Ne ha fatto in passato di molto belli. È l’autoritratto di uno stato d’animo. Penso a come cammina Antonio, un po’ curvo, le mani dietro la schiena, guardando per terra. Quando abitava a New York non era felice. Si sentiva rigettato, non riusciva ad abituarsi alla società americana e viveva come un marginale, come un esule europeo.

 

Ma a cosa sta pensando quel Teff, quel sosia americano dell’artista di cui si vedono solo le scarpe e un lembo di calzoni?

 

Appare ovvio dalle pozzanghere che ritornano come un filo conduttore in ognuno dei quadri di questo periodo 1987/1988 che Recalcati il cielo di New York lo ha guardato solo riflesso nell’acqua mentre camminava a testa in giù, inseguendo chissà quale fantasma. Così in un convento della periferia di Milano si è messo a dipingere la sua nostalgia delirante, improvvisa per quelle strade anonime dove si sente il rumore delle sirene, dove la gente non si conosce e non si saluta, dove ci si sente schiacciati sul cemento dai cambiamenti repentini e violentissimi di clima. New York città meridionale e nordica, dove soffia il vento e si sente l’odore del mare, città dove regna il pedone solitario avvolto nella nube delle sue preoccupazioni. Recalcati guardava evidentemente per terra coi suoi occhi sprezzanti e disgustati da cacciatore deluso che non ha trovato la preda. Recalcati è disperato? È ambiguo? Recita? Senz’altro. Lui a New York non ha mai cercato il cielo guardando in alto tra i grattacieli per trovare un filo di speranza.

 

La speranza non c’è e lui poeta maledetto non sa che farsene. Il cielo preferisce vederlo spetasciato al suolo dentro a una pozzanghera come un uovo al piatto mal riuscito. Preferisce calpestare il cielo con le sue scarpe nere per disprezzo.

 

In ognuno dei suoi quadri lascia vedere solo poche chiavi, talvolta molto ermetiche che costringono chi li guarda a immaginare la loro storia. Guardare un quadro di Antonio è un ottimo esercizio per la fantasia di un romanziere! Per esempio in un angolo si vede il torso di una mela verde masticato e lasciato come immondizia sul marciapiede. Il torso di mela è il protagonista del quadro? È il messaggio centrale o è un particolare?

 

Comunque sia non si può non vederlo, come non si possono non vedere i calzoni di Jeff o un pezzo di blue jeans e un pezzo di carrozzina. Chi spinge la carrozzina? Una mamma? Chi c’è nella carrozzina? Un bambino? In ogni quadro è evidenziato un particolare ossessivo che è come il pezzetto di un puzzle. Il puzzle è un lungo racconto dell’amore incondizionato, frustrato e folle dell’artista per New York da cui si è sentito rigettato, forse perché ha voluto farsi rigettare. Solo dall’umiliazione, dal rifiuto, dalla sofferenza di quei giorni poteva nascere il desiderio così forte di chiudersi in un convento a Milano e dipingere i suoi stati d’animo di allora attraverso dei particolari.

 

Viene voglia di prendere tutti i suoi quadri e metterli uno accanto all’altro per fare un tutto, una visione sola di New York attraverso le pozzanghere. Recalcati cerca qualcuno, una voce, un amico, un eco per sentirsi meno solo. Ma non trova niente. Si vede da certe immagini più violente. Nei quadri dove c’è una striscia gialla lungo il marciapiede potrebbero anche esservi delle traccie di sangue. Si sente il desiderio di vendicarsi, di uccidere. Quei marciapiedi sono anche dei campi di battaglia, dei luoghi dove si muore assassinati per pochi dollari. Le strisce gialle sono la luce dei fari di una macchina della polizia, di un taxi o di un’ambulanza, sono anche la metafora dello sguardo di un gatto randagio che si aggira di notte. A New York ci sono molti topi, ma si vedono pochi gatti. Forse Recalcati quando stava là aveva nostalgia di Napoli o di Marsiglia città piene di gatti.

 

Si può concludere che la visione del mondo dell’artista attraverso le sue pozzanghere sia squallida, desolante o sanguigna? Troppo facile. Dentro la sua visione cupa del mondo c’è sempre la luce, c’è la festa, c’è l’occhiolino di chi ha anche il senso dell’umorismo e dello scherzo. Recalcati tace, è di cattivo umore, ma poi scoppia a ridere, si entusiasma come un bambino e racconta una storia. Asceta e pantagruele, uomo di eccessi, che traspaiono dalle sue tele. È un pittore, perché si vendica con l’occhio della memoria e sa mettere in scena sulla tela. In questi quadri sento anche la vendetta riuscita di chi ha visto nei luoghi da cui si è sentito escluso una grande bellezza e ha saputo riprodurla.

 

È affascinante la conoscenza profonda di New York, della solitudine degli americani, vista nei panni  di un pedone disperato. Mentre la città umiliava Recalcati, lui le rubava i suoi segreti, la fotografava nel cuore e nella memoria. Così a distanza di qualche anno l’ha ricostruita in un gioco di intarsio su grandi e bellissime tele trafitte da colori grigi e neri violentati dal giallo dall’azzurro e dal rosso, ma soprattutto dalla trasparenza dell’acqua.


Alain Elkann

Parigi 1988